Avvocato Domenico Esposito
 

 

LA MANCATA AUTENTICAZIONE DELLA FIRMA DEL QUERELANTE O L'ASSOLUTA INCERTEZZA CHE EGLI SIA IL LEGITTIMATO A CHIEDERE LA PUNIZIONE DEL COLPEVOLE RENDE NON VALIDA LA QUERELA

La querela non é valida se: mancata autenticazione della firma del querelante o assoluta incertezza che egli sia il legittimato a chiedere la punizione del colpevole;

La querela é valida se: la parte offesa abbia personalmente presentato la querela e sia carente solo una completa identificazione della stessa.

 

CASSAZIONE PENALE, SEZ. III, 13 MAGGIO 2004, N. 29660
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:   
Dott. Savignano Giuseppe Presidente
1. Dott. Zumbo Antonio Consigliere
2. Dott. Squassoni Claudia     "     
3. Dott. Grillo Carlo               "     
4. Dott. Novarese Francesco "     

ha pronunciato la seguente

SENTENZA                              

sul ricorso proposto da: ...................... avverso la sentenza del 23/10/2002 della Corte D'Appello di Venezia                                             

visti gli atti, la sentenza ed il procedimento, udita in pubblica udienza la relazione fatta dal  Consigliere Squassoni Claudia, udito il Procuratore Generale in persona del dott. Antonio Albano che ha concluso per il rigetto del ricorso, udito il difensore Avv. ................................

Fatto-Diritto

Con sentenza 13.3.2002, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Padova ha ritenuto l'imputato responsabile dei reati di violenza sessuale, furto (così modificata l'originaria imputazione di rapina), cessione di sostanze stupefacenti e dichiarazioni di false generalità uniti con il vincolo della continuazione e - concesse le attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno e la diminuente del rito abbreviato - lo ha condannato alla pena di anni due, mesi uno e giorni dieci di reclusione.

In parziale riforma della decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe precisata, ha ridotto il regime sanzionatorio ad anno due e giorni venti di reclusione (per la concessione della attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cp per il reato di furto e di quella di cui art. 73 c. 5 DPR 309/1990 per il reato di spaccio di stupefacenti) ed ha confermato nel resto.

Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ricorre in Cassazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione, in particolare, rilevando:
= che la querela non è stata ritualmente proposta mancando la identificazione della querelante a nulla rilevando la tardiva identificazione posta in essere dal Pubblico Ministero;
= che i reati perseguibili di ufficio non sono connessi con quello sessuale in quanto l'unica ipotesi di cui all'art. 12 cpp., cioè, la continuazione non è applicabile non essendo stata contestata nel capo di imputazione;
= che i Giudici non hanno sottoposto a rigoroso esame critico le affermazione della asserita parte lesa, unica fonte di prova e dedita all'uso di sostanze stupefacenti;
= che le versioni dei fatti fornite dalla donna non sono conformi e non coincidono con quelle dei testi su elementi salienti della vicenda;
= che manca la motivazione in ordine ai reati di furto e di spaccio di sostanze stupefacenti e sulla concedibilità della attenuante di cui all'art. 609 bis uc cp (punti oggetto dei motivi di appello).

Alla odierna udienza, il difensore dell'imputato ha sollecitato la sospensione del processo per potere formulare istanza di patteggiamento a sensi dell'art. 5 L. 134/2003.

La richiesta è stata respinta in quanto la norma ricordata è applicabile solo nei processi penali in cui sia in corso il dibattimento di primo grado e nei quali risulti superato il termine di cui all'art. 446 c. 1 cpp; di conseguenza, la disposizione non trova applicazione nel giudizio in Cassazione (come hanno chiarito le sezioni Unite con sentenza 47289/2003 alla cui elaborata motivazione si rimanda).

Per quanto concerne la prima censura del ricorso, è appena il caso di ricordare come l'art. 337 c. 4 cpp, in tema di formalità della querela, richieda che l'autorità che la riceve provveda, tra l'altro, alla identificazione della persona che la propone; trattasi di una ragionevole cautela al fine di evitare l'attivazione della giurisdizione penale in mancanza della certezza che il querelante sia l'offeso dal reato.

Nel caso di non avvenuto contatto tra il querelante e gli uffici deputati alla ricezione dell'atto - quando, cioè, la querela è recapitata da un incaricato o spedita per posta - necessita, a sensi dell'art. 337 c. 1 cpp la sottoscrizione autentica della persona offesa; la mancanza di tale formalità non garantisce la provenienza dell'atto dal titolare del relativo diritto ed impedisce l'instaurarsi del procedimento penale a nulla rilevando che la volontà della persona offesa risulti successivamente confermata (Corte Costituzionale sentenze n° 287/1995 e n° 115/2004).

Analoga disposizione è reperibile in caso di invio della impugnazione per posta ove la sottoscrizione dell'impugnante deve essere autenticata a pena di inammissibilità per il combinato disposto degli artt.583 c. 3, 591 c. 1 sub c cpp.

La mancata autenticazione della firma del querelante, o la assoluta incertezza che egli sia il legittimato a chiedere la punizione del colpevole, rende non valida la condizione di procedibilità.

Diversa è la soluzione, quando la effettiva parte offesa abbia personalmente presentato la querela e sia carente solo una completa identificazione della stessa.

Ritenere la nullità o inammissibilità dell'atto (tra l'altro, non previste espressamente dalla legge) significa introdurre una formalità che stride con la ratio dello art. 337 c. 4 cpp che consiste, si ripete, nello assicurarsi che la volontà di perseguire il colpevole sia stata espressa dalla vera parte lesa e non nello ostacolare l'esercizio del diritto di querela.

Pertanto, in questa seconda ipotesi, la non completa identificazione del querelante determina una mera irregolarità di ordine amministrativo, sfornita di sanzione processuale, che non incide sulla procedibilità dell'azione penale (V. Cass. Sez. 4 sentenza 70/2001 e Sez. 2 sentenza 13490/1999).

Tale è il caso, all'esame nel quale non sussiste incertezza alcuna che la ........................, vittima della violenza sessuale, abbia personalmente ed oralmente proposto querela, apposto la firma in calce al relativo verbale e fornito le sue esatte generalità anagrafiche; il mancato controllo delle stesse con un documento (di cui la donna non era munita) è circostanza ininfluente al fine che rileva.

La ritenuta ritualità della querela supera la seconda deduzione del ricorrente.

Prima di affrontare le censure inerenti alla attendibilità della parte lesa, è opportuno ricordare come, nella ipotesi di eccepito vizio motivazionale, il controllo della Cassazione non deve estendersi ad una rinnovata ponderazione del materiale probatorio ma è limitato alla verifica di "un corretto apparato argomentativo della decisione al suo vaglio.

In esito a tale circoscritto esame, la Corte rileva come, sul tema in oggetto, la sentenza impugnata non presenti vizi motivazionali deducibili in questa sede.

Entrambi i Giudici di merito nelle loro sentenze (che, essendo conformi, si integrano a vicenda costituendo un tutto organico) si sono posti il problema - di focale rilevanza nel caso concreto ove sono carenti riscontri diretti alla accusa - della veridicità delle dichiarazioni della parte lesa ed hanno risposto positivamente dopo avere elencato i seguenti argomenti ed elementi a sostegno della loro conclusione.

Innanzi tutto la querela, presentata subito dopo il fatto, è caratterizzata da assoluta spontaneità, genuinità e scevra da intenti calunniosi nei riguardi del denunciato (verso il quale la donna non aveva motivi di rancore perché non conosciuto prima dell'episodio per cui è processo); la descrizione dello snodarsi dei fatti, così come ricostruiti dalla parte lesa, è circostanziata, logica, credibile.

A siglare la veridicità della dichiarante esiste un riscontro indiretto, ma significativo, rappresentato dalla deposizione di un teste al quale la donna ha immediatamente narrato della violenza patita, e che ha personalmente percepito lo stato di sconvolgimento nel quale versava.

Inoltre la ricostruzione del fatto fornita dall'imputato (il quale ha ammesso che la donna si è recata presso di lui per prostituirsi) è smentita dalle dichiarazioni di un teste il quale ha precisato che la ........................ era salita con il .................... nella di lui abitazione al fine di comprare sostanza stupefacente.

Inoltre i Giudici hanno preso nella dovuta considerazione la tesi difensiva (inerente alla inattendibilità della donna per evidenti discresie tra le sue varie deposizioni e tra quanto da lei narrato e quanto riferito dai testi) ed hanno concluso - correttamente motivando sul tema - che le differenze erano su particolari non rilevanti e che, comunque, non minassero la globale attendibilità della dichiarante.

Pertanto il giudizio sulla veridicità della ...................... è sorretto da iter argomentativo congruo, completo, corretto e, pertanto, incensurabile in sede di legittimità.

In tale contesto, il ricorrente chiede sostanzialmente una rinnovata ponderazione del materiale probatorio, alternativa a quella operata dalla Corte di merito, ed introduce problematiche che esulano dai limiti cognitivi del giudizio di legittimità.

Puntuali, invece, sono le residue deduzioni in quanto l'imputato nei motivi di appello aveva formulato articolate censure, non manifestamente infondate, relative alla insussistenze dei reati di furto, di spaccio di sostanze stupefacenti ed alla richiesta di applicazione del fatto di minore gravità per il delitto sessuale; su tali temi nella sentenza impugnata manca ogni motivazione proprio in senso grafico.

Ora i Giudici di appello non sono tenuti a considerare censure che si presentano ictu oculi inconferenti e pretestuose, ma non possono esimersi dall'esaminare e rispondere, sia pure concisamente, alle deduzioni dell'impugnante che non hanno le ricordate caratteristiche.

Per tale lacuna motivazionale, il Collegio annulla la sentenza in esame con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.

P.Q.M

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui all'art. 624 cp (capo B), all'art. 73 c. 5 DPR 309/1990 (capo C) ed alla attenuante del fatto di minore gravità di cui all'art. 609 bis uc cp con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia; rigetta, nel resto, il ricorso.

Roma, 13 maggio 2004

Depositata in cancelleria il 06.07.2004